Il potere in strutture comunitarie
  1. Gli approfondimenti psicologici sulla persona umana hanno evidenziato due grandi originari istinti – impulsi vitali: la sessualità e il potere.
    Sono l'espressione dell'unitario istinto di vita.
    Per alcuni autori è dominante il primo, per altri il secondo.
    Per quasi tutti i due istinti sono interconnessi e interferenti tra loro.
    In una società evoluta dove le relazioni, gli interessi, i rapporti si sono moltiplicati, l'istinto di potere si evidenzia maggiormente ed è messo sempre più alla prova.

  2. L'istinto di potere si esplica normalmente (sotto controllo del senso morale) nell'auto affermazione – auto realizzazione, che confronta e rapporta con le esigenze e i diritti degli altri. Il potere si può sublimare in capacità di servizio, di organizzazione, ecc.
    Si può problematizzare in aggressività o paura, in meccanismi di difesa patologici, ecc. originando quasi tutte le nevrosi e, forse anche le psicosi.

  3. In ogni rapporto, sistema, struttura, si sviluppa una comunicazione verbale e non verbale, conscia e inconscia, che porta spesso ad una vera "guerriglia di potere" (Chi vale di più? Chi capisce di più? Chi comanda? Chi pone le regole? Chi giudica? Chi dice l'ultima parola?).
    Le modalità in cui si manifesta non sono sempre rozze e scoperte, ma, spesso, molto sofisticate, nascoste e complesse.
    Solo in un rapporto maturo e democratico, (con pazienza che esperimenta di nuovo l'esperienza già fatta) il rapporto e il confronto col "diverso" da noi può diventare ricchezza e integrazione. Bisogna capire, analizzare, decodificare, ma essere soprattutto profondamente sinceri con sé.
    Siamo diversi, figli di storie diverse. Accettare il diverso quando ti dà anche un po' fastidio è vero antirazzismo.
    Voler cambiare gli altri è tentazione di onnipotenza. Gli altri cambiano, in parte e forse, solo se sappiamo cambiare noi stessi.

  4. In ogni comunità possono nascere problemi di potere a livello verticale e orizzontale.
    Si coagulano e confrontano alleanze.
    Abbiamo detto più volte che vivere con intenzionale concordia, vivere positivamente tra di noi, non è buon ingrediente del nostro lavoro, ma la sostanza. Più importante del fare è l'essere: chi "siamo con", come ci poniamo.

  5. Con i giovani vogliamo formare "un gruppo di pari", vogliamo "vivere con loro esperienze di vita".
    Non facciamo progetti su di loro: li vogliamo soggetti che facciano ciò che sanno fare e ciò che a loro piace. Possiamo proporre e stimolare. Ci preoccupiamo soprattutto del benessere, della qualità del convivere.
    Ma quando "sei alla pari" e devi intervenire in "modo direttivo" per il ruolo che funzionalmente ti ritrovi a coprire, sei più disarmato e angosciato di quanto non lo siano operatori di Centri in cui la direttività è regola.
    Come superare la contraddizione, la possibile rottura temporanea della coerenza nel rapporto emotivo? Come passare dal contenimento più "normativo" al contenimento "emotivo", spesso, oltre che necessario, richiesto dal giovane stesso che non riesce a gestire il dilagare delle sue emozioni? È un lavoro di approfondimento teorico/pratico da svolgere soprattutto in équipe.