Note specifiche per gli operatori
  1. Voler "aiutare" i giovani inseriti nelle nostre comunità nello sviluppo dell'affettività e della sessualità, è affrontare quello che Freud ha definito come uno dei "compiti impossibili". Si possono osservare due generi di pensieri e reazioni antitetiche:
    1. Direzione idealizzante: basata sull'annullamento delle differenze tra operatore e destinatario dell'intervento o sulla loro sottovalutazione, sulla negazione del limite (dell'altro e delle proprie possibilità operative) e sull'onnipotenza dell' "io ti salverò.
    2. Direzione rinunciataria: basata sul senso di impotenza, sull'adesione a modalità di lavoro puramente tecniche, ripetitive,evasive, non orientate alla scoperta ed alla condivisione.
    Entrambi questi stili lavorativi evidenziano le difficoltà di attuare una modalità di pensiero (e quindi di una prassi lavorativa) capace di percepire le sfumature, i limiti e le risorse, nella differenziazione tra una situazione di handicap e l'altra.
    Essenziale diventa l'utilizzo di un tipo di pensiero poco proiettivo, capace (come in tutte le professioni dell'aiuto) di mantenere la giusta distanza rispetto all'altro, per poter "leggere" correttamente la situazione specifica e, perciò, "aiutare" concretamente: è necessario non essere troppo vicini, ma neppure troppo lontani così da eliminare ogni tipo di empatia.

  2. Ho spesso semplificato le modalità di approccio ai nostri giovani con frasi di questo tipo: "niente carezzine, abbraccini, ecc.", "attenzione al tatto, al rapporto corporeo...". Questo per evidenziare, da un lato, il rispetto verso la loro identità di adulto e, dall'altro, il pericolo di "scatenamenti" affettivo/ sessuali che, se pur raramente, si possono verificare da parte dei giovani verso operatori, obiettori, volontari. Se questo avviene (e può avvenire, e qualche volta è avvenuto!) si creano notevoli difficoltà di rapporto con sconvolgimento di ruoli e con conseguenze in tutto il gruppo comunitario. Ciò è collegabile all'altro punto dell'impostazione delle nostre comunità: anche per chi richiede un rapporto 1 / 1, se è possibile (ed è possibile quasi sempre) è meglio non avere rapporti privilegiati tra un solo operatore e un giovane, ma alternare interventi "di tutti su tutti", per attività ben determinate, ecc. Questo non solo perché si può creare indispensabilità dell'operatore, per l'impossibilità a reggere 7/8 ore il rapporto, per prevedibili confronti fra operatori sulla gravità o meno del giovane affidato, ecc. ma anche per non creare simbiosi, transfert non gestibile, ecc. Anche al di fuori del lavoro con le persone portatrici di handicap, si assiste, non di rado, al passaggio dal rapporto terapeutico al rapporto affettivo/sessuale!

  3. Vorrei fare un'ultima riflessione che spesso ho ripetuto nelle varie équipes, e sempre, ed assolutamente, senza intenzione di provocare sospetti o dubbi o paure.
    Spesso si sente parlare di pedofilia e degli eventuali interventi possibili. Bisogna, in ogni caso, tener presente che le statistiche indicano che il 75% di questi abusi avviene in famiglia (da parte di genitori, zii, nonni, parenti, ecc.); il 15% da educatori, volontari, obiettori, ecc.; e che solo il restante 10% si verifica da parte di persone totalmente estranee e "malate".
    Sulla base della mia ormai lunga esperienza, ritengo di riscontrare una notevole analogia con gli abusi sessuali su persone portatrici di handicap intellettivo.
    I casi che ho dovuto affrontare (molto pochi certamente: una quindicina di casi in 30 anni e per circa1000 persone seguite) sono, però, in linea con le percentuali sopra esposte.
    Credo che sia sempre utile fare qualche riflessione, anche perché gli operatori, obiettori, volontari coinvolti non erano persone così "perverse", così "diverse": non erano"maniaci"... Ripeto spesso che su queste debolezze sessuali (come per il furto) non mi sento di mettere la mano sul fuoco per nessuno. Credo che un po' di attenzione e modestia sia d'obbligo per tutti.