La famiglia di fronte all'handicap

IL PROBLEMA

I Genitori hanno verso i figli un rapporto psicologico identificazione e proiezione.
Sono lo scopo principale della vita, continuazione, orgoglio e motivo di confronto, speranza.
Il genitore rinasce col figlio. Tutti (al di là di ogni demagogica affermazione) desiderano o fanno tutto perché i loro figli siano bravi , buoni , belli, ed efficienti. Perciò la "scoperta" che il figlio è portatore di un grave handicap procura dapprima incredulità e ribellione, e poi diventa un vero shock, con conseguente e permanente difficoltà di accettazione. Nessun genitore è mai preparato a questa grave prova! La nascita di un bambino handicappato è sentita istintivamente come un grande insuccesso, un lutto , che si rinnova ogni giorno, risveglia traumi ed insoddisfazioni passate impedisce di fantasticare positivamente per il futuro.Tutto questo può portare i genitori alla perdita della sicurezza abituale, ad una crisi d' identità e di ruolo sociale.
Tutta la famiglia nel suo complesso sistemico e relazionale non ha più la sua normale prospettiva evolutiva. I rapporti nei confronti di "questo" figlio diventano rigidi ed immutabili: il figlio non sarà mai talmente autonomo, da liberare i genitori, sempre più anziani, dal suo problema. La gioia di vivere impallidisce, le soglie di sopportazione si abbassano bruscamente.

APPROFONDIMENTO

Senza pretesa di essere esauriente e coscienti dell'estrema varietà di reazioni personali che si creano anche a seconda della diversa tipologia di handicap (handicap dalla nascita o per cause susseguenti / handicap psichico o fisico / ecc.) propongo un breve approfondimento sulle più frequenti reazioni nella coppia genitoriale e qualche spunto più specificamente riferito alla madre, al padre e ai fratelli.

LA COPPIA

I rapporti e le relazioni diventano più complessi. Si tende a colpevolizzarsi., accusandosi reciprocamente d' impostazione educativa errata, di disinteresse, ecc. A volte si cerca di rimuovere il proprio senso di colpa ricercando spiegazioni strane e individuando negli ascendenti, per lo più del coniuge, eventuali cause di ciò che è capitato al figlio.
Anche nella coppia in cui di fronte al "problema" si trova una maggiore unità, spesso si riducono i contenuti della comunicazione: il figlio handicappato rappresenta il tema, esplicito o sotteso, quasi unico e costante del dialogo tra i due genitori.
A volte la coppia risulta anche condizionata nella sua vita sessuale e, quasi sempre, nelle sue scelte di prospettiva di nuovi concepimenti.
Spesso nasce nei genitori un profondo senso di colpa, soprattutto in casi di handicap psichico, aumentato dalle continue ed impietose domande ed anamnesi di pur ben intenzionati parenti, amici, operatori sociali, terapeuti.
I genitori sono tormentati da numerose ansie ed angosce.
Angoscia del futuro del figlio: soprattutto in prospettiva della mancanza dei genitori, ma anche delle scelte educative-terapeutiche, delle prospettive affettive-sessuali; angosce del tempo che passa, senza che si vedano progressi soddisfacenti. Angoscia di incompetenza e di impotenza, col tentativo-speranza di delegare la soluzione del problema ad altri e ad altre istituzioni (molti genitori "girano il mando" in viaggi di speranza, alla ricerca spesso di illusioni e del "miracolo") sentite spesso, poi, come inadeguate ed inefficienti e quindi vissute con sentimenti aggressivi, senso di vergogna e di insopportazione del giudizio e, perfino, dello sguardo degli altri. Si viene a creare una situazione di tipo"sensitivo" nei confronti di una"società che guarda", che "guarda e giudica": percepita perciò come ostile.
Non di rado sorge la preoccupazione che l'ombra del figlio handicappato possa pesare sugli altri figli.
Quasi tutti i genitori si trovano in una profonda solitudine nell'affrontare i vari problemi: solitudine che, anche se proclamata ingiusta, purtroppo viene quasi ricercata.
A questi motivi psicologici profondi si possono aggiungere motivi pratici che rendono difficile e tesa la situazione familiare tanto da mettere in crisi i rapporti e il sistema nel suo complesso.
Il figlio handicappato cambia la vita dei genitori: occupa "troppo", impedisce spesso alla madre un'attività professionale, fa spendere molti soldi, è estremamente condizionante.

LA MADRE

Particolarmente grave, ma purtroppo non infrequente, è il pericolo di simbiosi fra madre e figlio handicappato: è un rapporto assolutamente patogeno che può comportare un blocco nello sviluppo psichico, mentale, linguistico e sociale del figlio stesso e portare ad una profonda devianza- rottura dei rapporti di coppia.
Molto meno grave, ma comunissimo, è l'atteggiamento della madre che fa di tutto per preservare il figlio da ogni contatto con la realtà che possa metterlo in difficoltà: lo protegge da ogni frustrazione, isolandolo così da tante esperienze ritenute negative. Non si svilupperà così un corretto e valido principio di realtà, che lo esporrà, in seguito, ad inevitabili frustrazioni non più sopportabili.

IL PADRE

La figura del padre, già secondaria in ogni caso nei primissimi anni di vita, tende ad essere ulteriormente sfumata nel suo significato. Spesso il padre viene ad essere emarginato (e poi colpevolizzato) e, a differenza della madre, gli viene preclusa la possibilità di compiere azioni "riparatorie" attraverso momenti dedicati alla terapia rieducativi-riabilitativa e di reinserimento sociale del bambino.
Mentre la madre si chiude nel dolore e nella depressione, il padre (se può) ricerca nel lavoro e nel sociale, fuori dalla famiglia, la sua affermazione o consolazione: evasione "scusata" da mille motivazioni razionali e/o razionalizzate.

I FRATELLI

Un aspetto del problema poco affrontato (e sottovalutato dagli stessi genitori) è quello relativo alle reazioni psicologiche e alle conseguenti modalità comportamentali dei fratelli e delle sorelle.
La presenza di altri figli normali di solito attenua o media le difficoltà dei genitori: sono interlocutori gratificanti, danno anche una visione positiva del futuro, distolgono l'attenzione angosciosa dei problemi dell'handicap, ricompensano gli sforzi educativi, ecc. Ma non si deve pensare che, per loro, i fratelli, non esistano problemi.
Se lasciati a se stessi, non condizionati dai genitori, i fratelli potrebbero interagire, avanzando per tentativi ed errori in maniera più spontanea e, in fondo, più corretta. Ma i comportamenti e i segnali dei genitori costituiscono un potente codice di riferimento per loro che, almeno in parte, vi si adeguano.
Per effetto del confronto con le incapacità dell' handicappato, i fratelli "sani" tendono ad essere ipervalutati e arrivino spesso impreparati alla vita sociale, dove sono costretti a riverificare i reali propri limiti nella "competizione" con i propri coetanei.
Ma ci sono aspetti ancora più profondi da tenere in considerazione. Essi possono essere disturbati dalle attenzioni, spesso giuste, ma sentite anche come privilegi continuati, rivolte al fratello (gelosia inconscia); percepire come pesanti le richieste fatte loro dai genitori o vivere male la loro esclusione dal problema (responsabilizzazione eccessiva o deresponsabilizzazione); sentire un certo imbarazzo nel dover spiegare o nascondere (vergogna e/o rimozione); senso di colpa o colpevolizzazione del loro essere "normali".
Anche quando hanno intrapreso un processo di emancipazione, pesa su di loro la consapevolezza di dover, prima o poi, subentrare ai genitori.
In alcuni casi sono realmente danneggiati nelle loro esperienze di vita e nelle loro possibilità di realizzazione.

ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI NON CORRETTI

Il problema più profondo è quello dell'accettazione vera del figlio. Acettarlo come persona, più che come problema; riuscire a "volergli bene" (e a manifestarglielo senza esagerazioni ambivalenti) e non solo volere il suo bene. Il figlio non accettato profondamente non si accetta.
La difficoltà di accettare veramente l'evento e il figlio si riflette in atteggiamenti inadeguati.
Da un punto di vista emotivo si possono verificare due opposte modalità: o un rifiuto, anche solo inconscio, ed una difficoltà di rapporto; o un atteggiamento iperprotettivo, che porta a gelosie e a "privilegi" emarginanti. Sono epressioni esasperate dell'ambivalenza abituale: a volte solo grande attaccamento e ostilità; nei casi estremi, amore e odio.
Da un punto di vista operativo si può assumere:o un atteggiamento fatalistico di chi, rassegnandosi non tenta tutte le strade per sviluppare le effettive potenzialità del figlio; o, al contrario, un atteggiamento che, non riconoscendo l'effettiva limitazione dovuta all' handicap, si manifesta in eccessive aspettative che portano "all'accanimento educativo-terapeutico", con ulteriori conflitti, e conseguenze negative di insicurezza e senso di inferiorità nell' handicappato stesso.